Oltre Dio

Pietro De Luigi on web

 

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Recensione di Daniele Didero ad un importante contributo del teologo domenicano Giuseppe Barzaghi, che è stato mio insegnante di teologia alla Cattolica di Milano. Barzaghi, uno dei massimi esperti italiani di filosofia tomistica, sta da tempo elaborando un confronto col pensiero severiniano nell'ottica di una ormai improcrastinabile revisione dell'ontologia classica nell'ambito del pensiero teologico (cfr. P. Sequeri in Il Dio affidabile, Queriniana, Brescia, 1996: "la lezione di Severino deve essere considerata un punto di non ritorno anche per ogni revisione dell'ontologia classica nell'ambito del pensiero teologico").

 

 

Recensione di Daniele Didero (12/3/2000) a:

Barzaghi Giuseppe: Oltre Dio ovvero omnia in omnibus. Pensieri su Dio, il divino, la deità
Bologna, Giorgio Barghigiani Editore, 2000, pp. 112

Tratto dalla pagina: http://www.swif.uniba.it

"L’essenza del Cristianesimo è la divinizzazione dell’uomo" (p. 85): la via prospettata dal Cristianesimo è, secondo Barzaghi (sacerdote domenicano, socio della Pontificia Accademia di S. Tommaso d’Aquino), quella della divinizzazione dell’uomo, ossia della partecipazione umana alla vita divina (e, in ciò, il Cristianesimo non può dirsi una religione, poiché la religione è - all’opposto - l’umanizzazione del divino, la riduzione del divino in categorie antropomorfiche). Ora, il "punto di vista" più adatto a comprendere la vita divina è quello della vita divina stessa, cioè il punto di vista dell’eterno: la filosofia più adatta alla comprensione del Cristianesimo sarà pertanto quella che esplicitamente si pone dal punto di vista dell’eterno, ossia la filosofia severiniana.

In Oltre Dio, Barzaghi sviluppa quindi un’originale e profonda rilettura del Cristianesimo secondo le categorie della filosofia di E. Severino, mirando ad andare "con Tommaso, ma ormai oltre Tommaso" (p. 23).

Perché con Tommaso? Perché, seguendo lo spirito tomista, si punta ad elaborare una teologia come comprensione razionale della fede. La teologia è cioè data dall’unione di fede e ragione, dall’applicazione della riflessione filosofica al contenuto di fede per approfondire la comprensione di ciò che viene creduto: e, secondo Barzaghi, la forma filosofica più rigorosa assunta dalla ragione è quella che emerge nella riflessione di E. Severino, così come per Tommaso era quella che si manifestava nel pensiero aristotelico (in un periodo in cui - si tenga presente - era tutt’altro che pacifico il fatto che Aristotele potesse esser riportato in accordo con la sacra dottrina: ancora nel 1277, infatti, l’arcivescovo di Parigi Stefano Tempier condannava 219 tesi di ispirazione aristotelica, tra le quali vi erano anche diverse affermazioni fatte proprie da Tommaso).

E perché oltre Tommaso? Perché le posizioni filosofiche dell’Aquinate restano immerse in un quadro ontologico nichilistico, dove cioè viene dato per evidente il divenire degli enti, o almeno di alcuni di essi ("Certum est enim, et sensu constat, aliqua moveri in hoc mundo" è il punto di partenza della prima via tomista: cfr. S. Th. I, 2, 3), quindi viene ammessa la possibilità contraddittoria che qualcosa si identifichi al nulla. Barzaghi parla di una "via breve" (ossia quella severiniana) per giungere all’affermazione dell’eternità del Tutto, fondata sull’affermazione dell’opposizione trascendentale tra essere e non essere (ossia tra ogni positivo ed ogni suo negativo - quindi anche quel negativo assoluto che è il nulla), e di una "via lunga" che è, appunto, quella tomista. Quest’ultima via va però sviluppata oltre Tommaso, considerando cioè che l’Ipsum esse per se subsistens - l’Essere assoluto -, al quale giungono le cinque vie tomiste, "non è il primo ma il solo" (p. 61), e dunque mantiene ogni cosa - il "mondo" - eternamente in sé: il mondo è "la diafania di Dio [...] il modo per il quale Dio è naturalmente trasparente a noi" (p. 89); l’Assoluto non lascia uno spazio ontologico perché ci sia una dimensione del diveniente (di ciò che passa dall’essere al nulla e viceversa) affiancata a quella dell’immutabile (dell’Assoluto stesso), proprio perché altrimenti - in quanto così opposto alla dimensione del diveniente - l’Assoluto stesso non sarebbe più assoluto, ma relativo a questa dimensione, limitato da essa. E’ allora estremamente affascinante notare - anche se Barzaghi non si sofferma su questo aspetto - come la "via lunga" (che è data, lo si tenga presente, dalla sintesi tra le vie tomiste e queste considerazioni sull’Assoluto) venga così ad assumere lo schema logico di una dimostrazione per assurdo, di carattere elenctico, della "via breve". Siano infatti ¬, > e ^ i segni logici di negazione, implicazione e congiunzione; indichiamo poi con A l’affermazione per cui l’ente in quanto tale è eterno, e con B l’affermazione per cui esiste l’Essere assoluto. Sappiamo che la "via breve" afferma direttamente A (l’eternità di ogni ente); la "via lunga" parte invece da ¬A (ad es., la prima via tomista parte dall’affermazione dell’esistenza del divenire, cioè dalla negazione che ogni ente sia eterno), vede come ciò implichi B (e qui si ferma Tommaso, che continua poi ad affermare anche ¬A) e quindi (oltre Tommaso) come B implichi a sua volta, secondo quanto abbiamo visto sopra, A (l’esistenza dell’Assoluto toglie lo spazio per un ente non eterno, opposto all’Assoluto stesso). Formalmente, avremo che ¬A > B > A: la "via lunga" viene cioè a mostrarci che se noi assumiamo, per assurdo, la negazione dell’eternità di ogni ente, dobbiamo poi tornare ad affermare, attraverso la mediazione di B (esistenza dell’Essere assoluto), questa eternità di ogni ente, che cercavamo di negare; la negazione di A implica mediatamente (attraverso la mediazione di B) l’affermazione di A, dunque A non può essere negata perché, anche volendola negare, si finisce col riaffermarla (in modo analogo - e per questo parlavo di una dimostrazione di carattere elenctico -, l’élenchos mostra che chi vuole negare il principio di non contraddizione è poi costretto a riaffermarlo, e quindi questa negazione non riesce a costituirsi, non ha autonomia posizionale).

La vita cristiana, la vita di grazia, è dunque - per Barzaghi - partecipazione alla vita divina. Ora, la vita divina è conoscenza e amore (e sarebbe interessante soffermarsi sul rapporto tra questi due momenti): partecipare alla vita divina significa quindi conoscere e amare tutto come Dio conosce ed ama. Ciò è possibile, in senso pieno, con la visio beatifica, ma viene già anticipato con l’esperienza mistica: essa è la "serena battaglia", è "l’accettazione serena della realtà così com’è perché è così: con le sue battaglie, i suoi drammi e le sue gioie" (p. 103). Cogliendo il mondo come diafania di Dio - cioè come Dio stesso in quanto si rivela ad uno spirito finito -, il mistico coglie (anche se solo astrattamente, non nella piena concretezza) ogni ente e ogni evento nella sua bontà, e non vuole nulla di diverso da ciò che è: la sua volontà si identifica quindi alla volontà divina (e la stessa onnipotenza della volontà divina va intesa nel senso che essa "lascia essere ciò che è", p. 78) ed è così sempre realizzata. Questa condizione di beatitudine non cancella la sofferenza fisica e psicologica ma le si accompagna, facendo ad essa da sfondo: non cancella la "battaglia" della vita umana ma la rende, appunto, "serena".

In un’ottica logocentrica, Barzaghi rilegge così l’Incarnazione come piena manifestazione della presenza di Dio, da sempre e per sempre - cioè in eterno -, presso la carne sofferente innocente: "dal punto di vista del Verbo, in cui tutto è espresso eternamente, la stessa Incarnazione ha una fisionomia eterna [...] è espressa eternamente nel Verbo come senso della presenza assoluta - e quindi non limitata cronologicamente ad un avvenimento - di Dio presso la carne sofferente innocente" (p. 43-44). In questo senso, Dio non può essere visto come il super-ente che - eventualmente - ha compassione di un mondo ad esso esterno, ma occorre invece dire che "Dio è la compassione del mondo" (p. 72).

Un altro tema interessante affrontato in Oltre Dio è poi quello della proposta, da parte di Barzaghi, di un nuovo modo di intendere l’Imago Trinitatis nell’anima umana. Agostino vedeva un’immagine di Padre, Figlio e Spirito Santo rispettivamente nelle tre facoltà di memoria, intelletto e volontà: queste sono però facoltà diverse dell’unica anima, mentre le tre persone divine sono distinte, ma non diverse (sono un’unica essenza). Barzaghi ritiene quindi che si potrebbe vedere questa immagine non in tre facoltà diverse, ma in tre modi distinti dell’unica attività del pensare, come "Coscienza di sé [Padre] che riguardando sé come cosciente di sé [Figlio] si apprezza come intrascendibile e originaria o assoluta [Spirito Santo]" (p. 58).

Una nota critica riguarda invece la soluzione che Barzaghi propone circa il problema dell’armonia tra fede e ragione (cfr. pp. 67-69). Egli sostiene che questa armonia non è affermata né dalla sola fede, né dalla sola ragione, bensì da "entrambe, ma non in quanto fede e in quanto ragione, ma in quanto sono pensiero puro, cioè il puro atto di pensare che è l’Assoluto metaconcettuale" (p. 67): la fede teologale (fides qua creditur), cioè, è la stessa conoscenza metaconcettuale che l’Assoluto ha di sé e che comunica alla creatura ragionevole, e la ragione - dal lato suo - ha il proprio fondamento di possibilità nello stesso pensiero puro metaconcettuale; sia la fede, sia la ragione dicono quindi lo stesso, dicono cioè di identificarsi in questa dimensione del puro atto del pensare. Occorre comunque notare che anche se fede e ragione, a questo livello, dicono la stessa cosa, non la dicono però sotto lo stesso rispetto: dicono cioè idem, ma non lo dicono sub eodem, e quindi la cosa che dicono non è propriamente la stessa (proprio perché il valore di un’espressione dipende essenzialmente dal cammino attraverso cui siamo giunti ad essa). Per la ragione, che la fides qua creditur sia la conoscenza dell’Assoluto comunicata alla creatura ragionevole, è solo - a sua volta - un contenuto della fides quae creditur, un dato di fede, e come tale è qualcosa di problematico.

Infine un’ultima nota, che non è una critica ma una mia riflessione, riguardo al tema della "serena battaglia", della gioia che - come serenità profonda - si accompagna anche al dolore. Queste pagine barzaghiane mi hanno riportato alla memoria le parole del poeta e cantautore russo Vladimir Vysotskij nel suo brano "On nje vernulsja iz boja" ("Egli non è tornato dalla battaglia"; questa canzone, insieme ad altre, può essere ascoltata dal CD allegato al volume Il volo di Volodja, a cura di Secondiano Sacchi, Arcana Editrice, Milano 1992). Il brano è segnato dal dolore profondo per la perdita di un amico, di un compagno che - appunto - non ha fatto ritorno dalla battaglia: tuttavia, nonostante questa tristezza che traspare nel componimento e che non può essere cancellata, Vysotskij afferma nella penultima strofa - con parole dalla poeticità altissima - che "Il cielo si rispecchia sul bosco come nell’acqua, e gli alberi si stagliano tra i riflessi azzurri del cielo ["djerievja stoját golubyje", lett.: gli alberi si stagliano azzurri]". Sono parole che, attraverso la bellezza del paesaggio russo, sanno esprimere una serenità profonda, che non elimina affatto il dolore per la morte dell’amico (nella strofa precedente, Vysotskij dice di averlo persino chiamato, ottenendo "in risposta, il silenzio"), ma che si accompagna ad esso come sfondo (e l’immagine di questo sereno sfondo paesaggistico rende benissimo l’idea della serenità di fondo dell’anima).

Indice

Presentazione di E. Morandi; 1) Religione e Cristianesimo; 2) Il pensiero forte; 3) Il rischio teologico; 4) Il far teologia secondo Tommaso d’Aquino; 5) L’ambiente divino; 6) Il dono; 7) L’incarnazione; 8) L’immagine della Trinità; 9) Oltre Dio; 10) Il pensiero puro; 11) Circa la teoria dell’armonia tra fede e ragione; 12) Transito mistico; 13) La compassione; 14) Negazione dell’alterità; 15) L’onnipotenza; 16) Il divino; 17) La serena battaglia; 18) Fondazione metafisica della mistica; 19) Una falsa conciliazione

Link

Ateneo Domenicano di Bologna: http://www.comune.bologna.it/iperbole/atdomenp/

Daniele Didero è laureato in Filosofia, con una tesi in logica sulla struttura della predicazione in Emanuele Severino, presso l'Università Cattolica di Milano; successivamente, ha scritto degli articoli di logica per la rivista filosofica "Divus Thomas". Collabora con la rivista filosofica "Divus Thomas" e con la cattedra di Teologia 3 (Epistemologia teologica, corso tenuto da G. Barzaghi) all'Università Cattolica di Milano.

 

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E. Severino

Fede teologale e vita eterna

G. Barzaghi

Benedetto XVI a Regensburg

 

 

 

 

 

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