Lettera a Marcello
Nel luglio 1995 morì un mio caro compagno di
classe del Liceo, Marcello Negri. Marcello non abitava più a Lodi, si era
trasferito a Milano da parecchi anni, ma aveva mantenuto buoni rapporti con
qualcuno di noi (cioè della classe) facendosi puntualmente sentire in certe
ricorrenze. Quell'anno, stranamente, non telefonò; qualcuno si chiese come mai,
ma a nessuno venne in mente, a sua volta, di chiamarlo. Si era ammalato di
leucemia e non volle scomodare nessuno. Venimmo a sapere della sua morte solo
molto dopo, quando tutto era compiuto. La sera del 24 maggio 1996 gli ex
compagni di classe si ritrovarono per mettere insieme alcune testimonianze da
consegnare alla madre. Un sorta di tributo, ma anche una richiesta di
assoluzione per non essersi fatti vivi nel momento del bisogno e del dolore.
Quella sera non stavo bene, dovetti stare a casa, e scrissi questa lettera che è
insieme il mio personale omaggio a Marcello e una concisa riflessione sul tema
della morte. Marcello ha lasciato una serie di testimonianze toccanti
sull'ultimo travagliato periodo della sua vita. Lo zio sacerdote, don Luigi
Negri, docente di teologia presso l'Università Cattolica di Milano, ha raccolto
queste lettere, appunti, annotazioni (c'è anche un simpaticissimo congedo alla
fedele ed esuberante Kelly, suo ultimo cane), in un volumetto intitolato
"Marcello, itinerario di un cristiano".
Non han più bisogno di noi i giovani morti, da ciò
che è terreno
ci si disavvezza lievemente, come dolcemente si
cresce oltre
il seno materno. Ma noi, che di così grandi segreti
abbiamo bisogno, noi a cui sovente un beato
progresso
si sprigiona dal lutto -: possiamo essere
senza di loro?
(R. M. Rilke, da Elegie duinesi)
Lodi, 24 maggio 1996
Eccoci qua, in ritardo e con un grosso peso sul
cuore. Marcello certamente non si sarebbe fatto attendere tanto. La sua
sollecitudine discreta - ma preziosa - senz'altro ci avrebbe smosso prima, in un
caso simile. Ma lui questa volta non è con noi...
Non è con noi? Ne siamo sicuri? Che significa
infatti dire noi? Non ci vediamo quasi mai, ognuno va per la sua strada.
E' naturale che succeda così. Son passati tanti anni... Eppure siamo ancora in
grado di dire noi, anzi questa paroletta ci sgorga spontanea e pare colga
una realtà ancora vitale. Anzi attuale, attualissima. Come mai? Noi
chi siamo? La classe Va D (anzi anche la IV, la III, la II...). La classe non
esiste più eppure siamo sempre
noi. NOI. Che significa? Una relazione. Certo, una relazione nella memoria,
eppure - come abbiamo visto - sempre attuale. Perché? Forse perché nulla può
annullare ciò che è stato. Nella sua nuda, a volte inattingibile verità
esso rimane irremovibile e saldo come una roccia, per sempre. Così la nostra
memoria e conoscenza possono rispecchiare in modo più o meno adeguato aspetti di
cose e relazioni che, in verità, rimangono per sempre. Lo stesso avviene per il
noi che ci riguarda. Cogliamo e partecipiamo verità perenni. La verità,
come suggerisce la nostra intuizione, non ha tempo. Allora forse c'è un
contesto, uno spazio a cui si apre la mente, dove ogni cosa assume il valore
dell'eternità. Le cose, le forme, tutto l'esistente sgorga da questo sfondo e vi
si immerge alla fine di nuovo. C'è qualcosa che rende vero il fatto,
una storia che misura tutte le storie, un essere nel quale l'essere appare e
sfiorendo si conserva? In esso e per esso l'essenza delle cose, anche delle cose
morte, non muore.
Scusami Marcello se filosofeggio. Ma ciò che sto
dicendo è compreso forse meglio dai bambini, i quali sono convinti che "sempre
dovrebbe esserci qualcosa piuttosto che niente". Ragioni necessarie e
sufficienti, ci insegnarono a scuola... Penso al mistero che precontiene
e fa essere ciò che è.
Tutto ciò che fummo e che saremo rimarrà vero,
quindi rimarrà. L'essere vissuti ed infine anche l'esser morti. Ecco perché nel
nostro noi, carissimo Marcello, vivi e vivrai per sempre, anche quando
nessuno di noi sarà più vivo. Saremo sempre, anche di sotterra, noi. Un
noi accresciuto, traboccante di esperienze, dolori, fatiche, gioie, stupidaggini
o meraviglie che la vita - a piene mani - avrà prodigato a tutti. Un noi
accresciuto dalla morte, immensamente dilatato da essa, la morte di ciascuno, la
morte comune. NOI.
Marcello, ci hai preceduto nell'ultimo passo su
quell'ultima soglia. Hai annodato i tuoi ormeggi. Hai chiuso il tuo cerchio, e
chiudendolo hai stretto anche il nostro, tirando parte del nostro cordame. Forse
è stato uno strappo, ma per questo non te ne vogliamo. Hai fatto tutto a nostra
insaputa, eppure, come tuo solito, non hai agito male. Con discrezione e riserbo
sei arrivato prima e lanciando su quella sponda la tua fune vi hai fissato per
sempre anche la nostra. Perdonaci, Marcello, e grazie, grazie per tutto quello
che sei stato e per il segreto che ora, silenziosamente, ci doni.
Pietro
Sui temi filosofici della lettera:
Passato e verità
|